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ORDIGNI NUCLEARI MARCOTTINI

Ordigni nucleari a Marcottini

Consultando la documentazione conservata presso l’Archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito (d’ora in avanti SME), è stata ritrovata una minuta, risalente al 1961, trasmessa al Comando Designato III Armata ed al comando Forze Terrestri Alleate per il Sud Europa (d’ora in avanti FTASE), dall’allora Capo di SME, Generale Antonio Gualano, nella quale si fa cenno alla possibilità di impiegare ordigni nucleari da parte della difesa, in riferimento ad un progetto generale delle difese del Carso di Monfalcone.

Nel documento, viene citato il paese di Marcottini quale prevedibile “P.Z.” (Punto Zero), cioè il luogo dove far esplodere un ordigno da 20 KT (Kilotoni o Chilotoni).

Nel misurare la potenza distruttiva di un ordigno nucleare, si utilizza il Chilotone quale unità di misura dell’energia liberata dall’esplosione: per poter comprendere meglio la potenza dell’ordigno in questione, si può utilizzare, per un confronto, la bomba esplosa sulla città di Hiroshima, il 6 agosto del 1945, la cui potenza è stata misurata, secondo recenti studi, in circa 16 Chilotoni.

L’importanza della posizione di Marcottini è facilmente intuibile: il paese si trova in corrispondenza di un quadrivio, dal quale parte una strada che, attraversando il paese, porta direttamente a Polazzo e a Sagrado, permettendo l’aggiramento delle opere fortificate. Poco a Ovest della località di Visintini, inoltre, si trova un altro incrocio, che mette in collegamento diretto le località di Devetachi, Marcottini e S. Martino del Carso: nell’ipotesi di una deflagrazione di un ordigno atomico, questi due importanti snodi stradali sarebbero stati investiti in pieno dall’onda d’urto dell’esplosione, che li avrebbe resi impraticabili.

Da parte della NATO, l’utilizzo di armi atomiche in campo tattico viene considerato come una possibilità assai concreta, allo scopo di compensare la netta inferiorità convenzionale delle forze occidentali nel caso di un attacco da parte di quelle del Patto di Varsavia. Con queste premesse, le dottrine militari, sviluppate a partire dalla seconda metà degli anni ’50, prevedono l’utilizzo dell’arma atomica tattica quale mezzo per lo sbarramento di vie di facilitazione, per l’annientamento di concentrazioni di forze nemiche e, nel caso di una ritirata, per il rallentamento dell’offensiva nemica. Nelle zone fortificate, in particolar modo, si prevede la possibilità di largo utilizzo di mine atomiche in aderenza alla difesa, seguendo piani predisposti, sfruttando la protezione offerta dalle opere fortificate.

CAPOFILA DI PROGETTO

Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali
Università degli Studi di Trieste
Piazzale Europa 1
34127 Trieste

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